Se il contratto di assicurazione sulle salute prevede il rimborso delle spese per interventi chirurgici, non è ipotizzabile che quest’ultimi non vengano risarciti nel caso in cui l’intervento non venga eseguito in modo tradizionale (cioè con l’utilizzo del bisturi) ma attraverso nuove tecniche non invasive. È quanto ha stabilito la Cassazione con una sentenza di ieri 20 agosto 2015.
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Il caso posto all’attenzione della Suprema Corte è quello di un avvocato che era in possesso già da tempo di una polizza assicurativa sulla salute, che prevedeva anche l’indennizzo in caso di spese mediche. Nel momento in cui si è verificata la necessità di un’operazione chirurgica, l’uomo richiede il rimborso dei costi sostenuti alla compagnia assicurativa: quest’ultima però rifiuta di procedere motivando la decisione con il fatto che la polizza sulla salute parlava di risarcimento per interventi chirurgici, intesi in senso tradizionale.
L’uomo allora ricorre in Cassazione, che con sentenza n° 17020/15 in effetti gli dà ragione: per interventi chirurgici si intendono sia quelli realizzati con modalità tradizionali, quindi con l’utilizzo del bisturi, sia quelli permessi dalle nuove scoperte tecnologiche e quindi non invasivi. La compagnia assicurativa dunque è tenuta al rimborso delle spese secondo le modalità e i casi previsti dal contratto sottoscritto.
Nel momento in cui si passa all’interpretazione del contratto e nel caso questo preveda delle clausole nelle condizioni generali oppure in moduli o formulari predisposti da uno dei contraenti (l’agenzia), tali clausole devono essere interpretate a favore dell’altra parte (il cliente), non fermandosi al significato letterale delle parole (interventi chirurgici, in questo caso) ma ampliando il concetto e tenendo conto del fatto che tecniche chirurgiche più avanzate e appropriate non possono che essere ben accette.